Tradizioni della Settimana Santa

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Nella terra dei trulli la Settimana Santa rappresentava un periodo intenso di faccende per le donne. Le donne, tra le tante incombenze cui erano tenute, trovavano il tempo di preparare i dolci pasquali, in primis i taralli dolci all’uovo.

I dolci “confezionati” erano destinati ad allietare il pranzo della Domenica di Resurrezione, la Santa Pasqua. A Martina Franca si preparavano i cavaddistre, dolci a forma di cavallo in onore del Santo Patrono della città S.Martino: le donne promesse in sposa, secondo l’antica consuetudine, erano tenute il giorno di Pasqua a donare un cavaddistre allo sposo, ricambiando, così, il dono della palma fattole la Domenica delle Palme. Gesti semplici, intrisi di significati profondi, rituali ben scanditi che “dovevano essere officiati” obbligatoriamente, e venirne meno costituiva un vero e proprio affronto.

Pulizie pasquali

Altra incombenza, da non trascurare assolutamente, erano le pulizie pasquali, tutte le donne vi si dedicavano nei giorni della Settimana Santa. Il trullo veniva sottoposto a pulizie radicali: dai pavimenti, alle sedie, ai tavoli, alle cassepanche, tutto veniva lavato e lustrato. Poi si provvedeva a tinteggiare con latte di calce le pareti, i muri esterni, le scale che conducevano ai piccoli ballatoi. La casa-trullo, luogo sacro al pari della chiesa, veniva purificata e preparata ad accogliere l’evento della Resurrezione nel migliore dei modi. Così, togliendo ogni tipo di sporco, si teneva lontano il malocchio e gli eventuali influssi negativi, annidatisi nel corso dell’anno trascorso per effetto dell’invidia o della malevolenza di qualcuno.

Caccè u diavule

Al ritorno a casa, dopo la Santa Messa del Sabato Santo, ci si affrettava a compiere il rito, di sicura sopravvivenza pagana, del caccè u diavule (mandare via il demonio della propria abitazione) che consisteva nel rompere vecchi piatti e bicchieri, spazzare dall’interno della casa verso l’esterno, sbattere le porte e tutto ciò per cacciare via le forze del male, allontanare le tentazioni, esorcizzare il malocchio.

Così, si rimetteva in funzione  a rattachèse (la grattugia), le macellerie riaprivano i battenti,  la vita riprendeva il ritmo abituale e si poteva ritornare all’alimentazione di sempre.

I più piccoli dovevano baciare la mano ai genitori, ai nonni e al compare di S.Giovanni (il padrino di battesimo). I sacerdoti davano inizio alle benedizione delle case, ricevendo in cambio offerte in danaro o uova.

Candè all’ove

La centralità dell’uovo, sui dolci pasquali o come dono al sacerdote benedicente, diventa preminente con l’antica usanza del candè all’ove (cantare alle uova): gruppi di giovani andavano per masserie e casedde (trulli sparsi per il contado) cantando stornelli scherzosi ricevendo in dono le uova. L’uovo, dal cui embrione nasce la vita e, perciò, metafora del fiorire degli amori, era l’obiettivo principale per le allegre brigate di giovani che si preparavano alla stagione dei corteggiamenti.

 


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