Il terrore dei briganti

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Integrate frequentemente nella rete delle torri costiere che dovevano sventare le razzie dei pirati turco-barbareschi, e comunque destinate innanzitutto a preservare i frutti di coltivazioni e allevamento in località sovente isolante, distanti dai centri abitati, le aziende agro-pastorali erano particolarmente concupite dalle bande di briganti che, folte di uomini disperati, reclacitranti alle imposizioni feudali, infarcite talora da chierici in rotta con le istituzioni ecclesiastiche ( specie all’indomani delle riforme imposte al cattolicesimo dal Concilio di Trento), si aggiravano per le campagne cercando di sopravvivere con ruberie e rapine. Ove possibile, i banditi depredavano armenti e alimenti, oppure estorcevano denaro e beni con la minaccia di incendiare un raccolto, di derubare gli strumenti da lavoro, di sottrarre bestiame o, addirittura di uccidere buoi, vacche, giumente e pecore. Del resto, il reticolo di parentele e di conoscenze familiari permetteva ai malintenzionati, che agivano in prevalenza nelle province natìe, di farla franca, alimentando una criminalità fortemente radicata in un tessuto sociale fatto di amicizie e familismi. Dell’endemicità del banditismo è testimone lo sconforto manifestato dal vicerè, don Pietro di Toledo, che alla metà del Cinquecento dichiarava di non saper proprio più che fare, dopo aver ordinato ben diciottomila esecuzioni capitali! A poco serviranno, poi, ulteriori e insistite repressioni, registrabili sin dai decenni successivi. E solo lentissimamente sortiranno degli effetti deterrenti le azioni di polizia a largo raggio, o le iniziative di segno squisitamente militare, e le taglie pesantissime, le esecuzioni di piazza, le continue punizioni per favoreggiamento inflitte ai (presunti) conniventi con i briganti.


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