Vino di Puglia: mosti e vini speciali

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In Puglia, in questa regione, nel suo silenzio, nella sua ritrosìa, nella sua timidezza, la vite è leggenda; è la leggenda dei Cretesi del Sud, dei Micenei del Nord, dei Corinti del Centro, è il messaggio ancora vivo che arriva da tanto lontano, sì da far considerare l’insediamento ellenico di Taranto come storia di ieri, che poco ha potuto far perdere del grande patrimonio di civiltà che precedette la colonizzazione greca. In sostanza, questo territorio così suscettibile agli influssi d’oltre mare, risuona ancora, nella sua viticoltura, delle antiche leggende, degli antichi miti che qui sono ancora la quotidiana vita dei locali vitivinicoltori.

Nelle nostre contrade si preparavano mosti e vini speciali

  • vino nero.
  • vinello: si otteneva dalla vinacce delle uve bianche, durante le ultime torchiate della giornata; dosato con il 30-50% di acqua.
  • vino avvinacciato: ricavato da uve nere, si passava al setaccio, che veniva appoggiato sulla bocca del tino, il residuo della pigiatura e con le mani si diraspava. A quanto raccolto, nel sottostante tino, si aggiungeva il mosto della pigiatura, si lasciava fermentare per otto giorni, rimestando, seguivano eventuale torchiatura, svinatura e invasellamento. Questo vino denso maturava solo nell’estate successiva.
  • vino con la cottura: si ricavava da una miscela di mosto normale e mosto appena cotto. Generalmente rosato, perché frutto di miscela tra una minima quantità di uva nera e la restante bianca.
  • cotto: a base di puro mosto, richiedeva una lunga cottura dopo la premitura. Questo cotto è quello che in lingua italiana prende il nome di defruto, dolce tendente all’amarognolo, altamente concentrato.
  • vino col cotto: costituito da una miscela: al mosto naturale si aggiungeva una piccola percentuale di cotto, che si lasciava fermentare lentamente nel capasone. Nell’estate successiva si poteva assaggiare questo vino robusto, da conservare per anni e anni.
  • vincotto: usato per preparare dolci, non veniva miscelato ai mosti e si imbottigliava il giorno stesso della cottura.
  • vino del monaco: era il vino dei più poveri; in pratica, la feccia si versava in un sacco di tela dura, veniva poggiato su un tino e lasciato a colare e produceva così la lacreme du mòneche.

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