Polignano a mare

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Polignano è un grumo candido nell’azzurro di mare e cielo. Il nome del luogo parrebbe carico di storia: vi su è voluta talora rinvenire la traccia di una Nea-polis, una città nuova, fondata nel IV sec. a.C. dal sovrano siracusano Dionisio II, a controllo dei traffici marittimi basso-adriatici. E in effetti, sin dalla fine del Settecento, il ritrovamento di corredi funerari di grande pregio, pertinenti a defunti d’alto rango, inumati in età classica ed ellenistica nell’area delle odierne piazze Giuseppe Garibaldi e Aldo Moro, indurrebbe ad avvallare l’ipotesi che a Polignano sorgesse anticamente un rilevante insediamento costiero, patria di famiglie principesche, aduse a seppellire i loro morti con dovizia di vasi dipinti e oggetti preziosi, in sepolcri sontuosi. Pur tuttavia, è soltanto col medioevo che si ha la menzione certa di un “Castello Poliniano”, in documenti datati dall’anno 959. Sempre per il X secolo è inoltre citata l’esistenza in loco di un’importante abbazia benedettina, che dovette fare il paio con un altro monastero extra-urbano, ubicato più a Nord, a guardia di una profonda insenatura, in località San Vito: forse un villaggio di pescatori che, dal II sec. d.C., venne presumibilmente toccato dal tratto litoraneo della via Traiana, la grande arteria imperiale voluta nel 108-110 d.C. dall’omonimo imperatore per meglio connettere Roma con Brindisi e, quindi, con l’Oriente. L’attraversamento di un asse viario praticato ininterrottamente anche in epoca medievale non potè che incidere sulla vitalità economica e culturale del territorio polignanese, che non a caso era frequentato da mercanti veneziani e abitato da una colonia ebraica: cosicché, nell’antica toponomastica cittadina, via Giudea è l’indizio “parlante” dell’articolazione etno-sociale di una località soggiacente a una lunga serie di feudatari, dal normanno Goffredo d’Altavilla nell’XI secolo, fino al marchese Pasquale La Greca nel 1806. Di un simile passato si colgono ancora gli echi nel bellissimo centro storico. Archi, stradine, scalinate, improvvise piazzette e chiesette graziose emozionano immancabilmente chi abbia la ventura di addentrarsi in quel dedalo nitido e odoroso di salsedine. Sui fianchi del borgo antico, da sempre i flutti giocano con la roccia, visitando al ritmo delle maree gli antri plurimillenari che si susseguono intorno alla Grotta Palazzese, e che picchiettano la scogliera fendendone il profilo: la Grotta dei Colombi, della Foca, la Grotta Ardito, dei Ladroni o del Guardiano punteggiano la linea di costa e raccontano, talvolta, coi reperti archeologici opportunamente recuperati, di antichissimi insediamenti preistorici e protostorici. Come sgusciato via dalla terraferma, lo Scoglio dell’Eremita troneggia invece solitario, con una croce piantata a memoria di leggendari romitaggi e più plausibili funzioni di lazzaretto, nei tempi di peste. La nuda quiete dell’isolotto contrasta con la vivacità che, con la bella stagione, anima i budelli e gli slarghi di un borgo ricalcato nel recinto delle fortificazioni cinquecentesche, a loro volta presumibilmente insistenti su precedenti apprestamenti difensivi.


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