Lambascioni

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Spontaneo e coltivato è questo bulbo presente in tutta la Puglia. La varietà indigena pregiata è la muscari recemosum; le altre, la “comosum” e “hyacinthus romanus” sono poco sapide e adatte per sott’aceto. Non è questo il luogo di fare una disquisizione linguistica su come questo bulbo si deve chiamare in italiano. Glottologi, pseudolinguisti, mercanti hanno creato i termini più fioriti, come cipollaccio, vampagiolo, muscaro e perfino lampone. Si deve chiamare lambascione!

I bulbi, di casa nostra, sono noti in tutto il mondo per la grossezza, per il sapore franco e fresco, per le proprietà alimentari e persino terapeutiche. Vi sono svariati modi di prepararli: al forno, in agro, con le uova, dorati e fritti, alla brace, sott’aceto, in salamoia, trifolati, ecc. e possono comparire tra gli antipasti, le minestre e i contorni.

 

Riportiamo una delle ricette meno note, raffinata, prelibata, che realizzavano i pastori della Murgia in un giorno di festa:

Si puliscono 600 gr di lambascioni, asportando la sola spoglia ricoperta di terra e la base con le radici; si lavano ripetutamente in acqua corrente. Non lasciarli in acqua per 1-2 giorni, come si suole, per togliere l’amarognolo, che è il contrassegno della qualità migliore. Lessarli in acqua salata per 15 minuti, scolarli e finire di cuocerli in altra acqua bollente e salata. Sgocciolarli dopo 15 minuti, infarinarli e friggerli in poco olio di oliva in una padella di ferro. Quando saranno ben colorati, versarvi 4 uova battute, formaggio pecorino grattugiato, sale, pepe, e far cuocere a fuoco normale. Appena le uova si rassodano, toglierli dal fuoco.


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