Nei nostri paesi la Festa Patronale ha sempre avuto una sua importanza, tanto da rappresentare il culmine della devozione collettiva verso il santo.
La Festa Patronale è un rito composito, cui ciascuno contribuisce e riceve in cambio quello che più gli aggrada, in ragione delle proprie esigenze. Così, oltre all’aspetto devozionale, la Festa è: ritrovarsi, mangiare, divertirsi. Tutto uno “spreco rituale” che risarcisce dei sacrifici di un intero anno. E il privilegio di portare la statua del santo è spesso estratto a sorte o acquistato da chi è capace di versare di più in beneficienza. È come se il santo conferisse santità, una sorta di assicurazione per il corpo e l’anima.
A un’esigenza di protagonismo corrisponde l’esibizione dell’offerta in danaro in strada, forse perché neanche di fronte alla fede si può essere tutti uguali.
Tutto questo, ormai, non è più!
Dove prima suonavano le mitiche bande musicali pugliesi, ora martella la musica da discoteca. Dove si sbizzarrivano le luminarie, ora incrociano fari accecanti. Dove le bancarelle offrivano dolci e prodotti della terra, ora infuriano l’hamburger e la Coca Cola. Dove erano ingenui colorati fuochi d’artificio, ora sono guerre stellari di laser. Dove si arrivava con pellegrinaggi a piedi, ora funziona il servizio autobus climatizzato. Dove per l’occasione tornava l’emigrante, ora i giovani lasciano il paese. Dove c’erano i santini, ora ci sono dépliants con lo sponsor. E più che onorare il santo come una star, si elegge una miss come reginetta.
È stata la civiltà del consumo a svuotare la Festa Patronale dell’eccezionalità, del “dramma che la sorreggeva”. Ora, il santo è solo l’occasione per continuare la festa di ogni giorno!